I musei di Firenze: le mete alternative

Terza puntata della nostra rassegna su alcuni dei musei più sorprendenti di Firenze. Nel primo articolo avevamo parlato di una delle destinazioni artistiche più ambite al mondo, la Galleria degli Uffizi, mentre il secondo appuntamento presentava i sistemi museali che non possono mancare nella scaletta di ogni turista, dall’Opera del Duomo alla Galleria dell’Accademia, da Palazzo Pitti al giardino di Boboli, dal museo di Leonardo da Vinci a quello di Galileo Galilei. Oggi ci concentriamo invece su alcuni degli allestimenti meno scontati, talvolta trascurati dai turisti a favore dei complessi di maggior richiamo. Si tratta di spazi espositivi che abbandonano il preponderante ambito delle belle arti per raccontare una storia altrettanto avvincente della città.

 

Gli altri musei della scienza

Lucarelli, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Non solo Leonardo e Galileo. La storia di Firenze è stata spesso legata a scoperte, invenzioni e innovazioni che ben legittimano l’esistenza e il successo di queste due destinazioni di carattere scientifico.

Riaperta l’anno scorso dopo un lungo periodo di restauro, la Specola è sede del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, ed è l’erede della più antica installazione scientifica d’Europa ad essere aperta al pubblico. Fu istituita infatti nel 1775 come Reale Museo di Fisica e Storia Naturale, e conserva oggi due collezioni distinte. La sezione zoologica è costituita da una grande quantità di animali preservati tramite impagliatura, mentre quella anatomica custodisce una collezione unica al mondo di modelli in cera di figure umane straordinariamente verosimili, che risalgono perlopiù al Settecento.

È invece molto più recente il Museo delle Illusioni, dove scienza e arte si incontrano per offrire un’esperienza sbalorditiva. La sua mostra permanente mette alla prova la percezione della realtà attraverso installazioni immersive e interattive, che stimolano la curiosità e la creatività.

 

Il mondo dei treni in miniatura

David Brossard, CC BY-SA 2.0 via Flickr

Un museo che è in grado di risvegliare in adulti e bambini quel senso di meraviglia ispirato solo da un modello in scala. Con i suoi 280mq di superficie, il plastico ferroviario di HZERO è il più esteso d’Italia e conta oltre 70 treni che sfrecciano in contemporanea su quasi un chilometro di binari. I dettagliati scenari presenti, ricostruiti in 40 anni di lavoro, vanno dai panorami montani delle Dolomiti alla stazione centrale di Milano fino alle coste dell’isola d’Elba.

 

La moda a Firenze

Esther, CC BY-SA 2.0 via Wikimedia Commons

L’industria del fashion ha una lunga tradizione in città. Si può anzi dire che l’alta moda in Italia sia nata proprio qui, con una sfilata organizzata a Villa Torrigiani nel 1951 dall’imprenditore Giovanni Battista Giorgini. Palazzo Pitti ospita anche il Museo della Moda e del Costume, che traccia nel dettaglio l’evoluzione che il settore ha visto nella sua storia. I musei che meglio rappresentano il rapporto delle maison con la città sono in ogni caso quelli dedicati a due tra i nomi più conosciuti del fashion internazionale.

Il primo è il Museo Salvatore Ferragamo, che documenta il lavoro del calzolaio e imprenditore nella Hollywood del cinema muto e la successiva fondazione a Firenze della sua casa di moda nel 1927. Tra i molti modelli esposti ci sono anche le calzature destinate a stelle come Marilyn Monroe, Greta Garbo e Audrey Hepburn.

Anche la Gucci Garden Galleria nasce con l’intento di ripercorrere la storia del noto marchio fiorentino. Ideata dal direttore creativo Alessandro Michele, l’area espositiva rende omaggio all’archivio Gucci attraverso le tecniche e i modelli che lo hanno reso celebre, tra oggetti vintage, lavorazioni artigianali e campagne pubblicitarie di grande impatto.

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San Giovanni e il calcio storico fiorentino

Il 24 giugno Firenze celebra il suo santo patrono, San Giovanni Battista, con un calendario sempre ricco di iniziative. In attesa dello spettacolo notturno dei fuochi d’artificio, uno degli eventi più sentiti di questo appuntamento è la finale del calcio storico, che si tiene come sempre in Piazza Santa Croce. 

 

Una giornata in festa 

Lorenzo Noccioli, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

La mattina del 24 è solitamente dedicata ai riti legati alla tradizione religiosa. Un piccolo corteo consegna al sindaco la croce del santo, dopodiché il sindaco stesso si reca al battistero per offrire dei ceri al patrono. Segue una messa solenne nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.  

Nel pomeriggio hanno invece luogo i festeggiamenti laici, che culminano con la sfilata del corteo della Repubblica Fiorentina tra piazza Santa Maria Novella e piazza Santa Croce. È qui che, al termine della marcia, si disputa la partita di calcio storico tra le squadre finaliste del torneo. 

 

Tra sport e storia 

Lorenzo Noccioli, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

A metà tra rievocazione folcloristica ed evento ad alto valore agonistico, il torneo si svolge in tre partite, due semifinali (che si sono giocate due settimane fa) e una finale. Le quattro squadre in gara rappresentano i quattro quartieri storici della città: i Bianchi di Santo Spirito, i Rossi di Santa Maria Novella, i Verdi di San Giovanni e gli Azzurri di Santa Croce. 

L’origine di questa pratica sportiva può essere fatta risalire ad un gioco romano chiamato harpastum, che era molto apprezzato tra i legionari e diffuso in varie zone dell’Impero. Fu però solo nel XV secolo che il gioco si affermò effettivamente tra i giovani fiorentini. I calcianti dell’epoca erano soprattutto nobili (tra i quali anche futuri papi) che vestivano delle sfarzose livree colorate. Richiedendo una maggiore organizzazione, le partite iniziarono ad essere giocate nelle piazze più importanti della città, specialmente durante il Carnevale. Ed è proprio ad una celebre partita disputata in questo periodo nel 1530 che si ispira la moderna rievocazione. Per quanto non risultino testimonianze che tra il XVIII e il XIX secolo la tradizione sia stata portata avanti, il calcio fiorentino ha saputo conservare il suo fascino nella memoria della città. Dopo duecento anni di parziale oblio, infatti, nel maggio del 1930 fu celebrata la partita che sancì la rinascita della manifestazione nell’era contemporanea, secondo il motto popolare che celebrava “lo spirito moderno del calcio antico”. 

 

Il torneo e la finale 

Silaip, CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons

Le partite prevedono una contesa di 50 minuti, durante i quali i 27 giocatori di ogni squadra, abbigliati con indumenti d’epoca, si sfidano in un gioco che ricorda molto più il rugby che il calcio moderno.  

Le squadre hanno giocato le due semifinali sabato 14 e domenica 15, sulla base di un sorteggio effettuato il giorno di Pasqua nell’ambito dei festeggiamenti per lo scoppio del carro. Le due formazioni vincenti, i Rossi di Santa Maria Novella e i Verdi di San Giovanni , si sfideranno quindi oggi per la partita finale. In palio, come da tradizione, una mucca di razza chianina e soprattutto la soddisfazione di vedere i colori del proprio quartiere celebrati nell’evento folcloristico più atteso da ogni appassionato. 

E infine, a coronamento di una giornata di cerimonie e prodezze sportive, tutti in cerca dell’angolo migliore, magari in riva all’Arno, per ammirare lo spettacolo dei fuochi d’artificio. 

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La giornata internazionale della gastronomia sostenibile

Tra le molte tematiche che oggi interessano l’universo della gastronomia, la promessa di una produzione sostenibile è di particolare attualità. L’assemblea generale delle Nazioni Unite ha disposto la creazione di questa ricorrenza nel 2016, dedicandole la giornata del 18 giugno di ogni anno. Il suo obiettivo è quello di incentivare un’idea di cucina che combatta attivamente lo spreco di risorse e preservi la salute dell’uomo e quella dell’ambiente.

 

Cucina e territorio

Nella definizione prevista dall’ONU, il termine gastronomia si riferisce all’arte di cucinare il cibo preservando e valorizzando gli stili caratteristici delle varie regioni del mondo. Un approccio sostenibile a tale disciplina deve tener conto di fattori come la provenienza degli ingredienti e le modalità con cui questi vengono trattati. Dalla gestione delle materie prime nell’agricoltura e nella pesca fino all’elaborazione di un determinato alimento che arriva sulle nostre tavole, è fondamentale che ogni componente in gioco possa essere conservato senza andare a discapito delle risorse naturali e del benessere di tutti noi. Solo in quest’ottica la gastronomia può essere contemplata come genuina espressione della diversità culturale del pianeta.

 

Le iniziative

Il proposito delle Nazioni Unite è quello di promuovere una consapevolezza pubblica sempre maggiore attraverso una serie di progetti organizzati da UNESCO e FAO. Come la Rete delle Città Creative, che riunisce i centri urbani che identificano nella creatività un elemento strategico per lo sviluppo. Agli eventi globali si affiancano le proposte locali, che mirano ad esempio a sostenere l’utilizzo di energia pulita nei ristoranti e incoraggiare i migliori modelli di sostenibilità nelle fiere di settore e nei canali televisivi dedicati al cibo.

 

La sostenibilità in gelateria

Il mondo del gelato artigianale è tutt’altro che estraneo alle posizioni virtuose fin qui delineate. Una delle tendenze di settore degli ultimi anni vede infatti una rinnovata attenzione per le questioni legate a salute ed ambiente. In mezzo a numerosi segnali contrastanti, che indicano un aumento dei consumi a dispetto di una crisi generalizzata, o la volontà di continuare a considerare il gelato come un “lusso accessibile” nonostante l’aumento dei prezzi nella catena produttiva, si conferma l’impegno di offrire un prodotto che abbia un occhio di riguardo per territorio e stagionalità.

Si tratta di una visione che si integra nella più ampia ambizione di una gastronomia effettivamente sostenibile nel presente e nel futuro. Un concetto che nel mondo odierno, segnato dai postumi della pandemia e da una crescente preoccupazione per cambiamenti climatici, inquinamento e disfacimento degli ambienti naturali, risulta essere ancora più importante.

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Firenze letteraria: i romanzi ambientati in città

La culla del Rinascimento ha offerto nei secoli uno scenario suggestivo e complesso per una grande quantità di opere narrative, ispirate spesso dal suo straordinario patrimonio artistico. Strade, chiese e musei hanno fatto da sfondo a capolavori della letteratura “di livello” così come ad alcuni dei maggiori successi commerciali degli ultimi decenni. Come già fatto alcuni mesi fa per i film ambientati a Firenze, vi proponiamo una selezione di titoli italiani e stranieri che vedono la città come teatro dei loro intrecci.

 

I romanzi ante litteram

Iniziamo con due opere che non possono essere classificate come romanzi nel senso moderno del termine, ma che costituiscono una introduzione storica di grande rilevanza.

La Vita Nuova di Dante Alighieri, che risale approssimativamente al 1292, può essere considerato uno dei primi lavori letterari ambientati a Firenze. Il sommo poeta offre una rappresentazione intima e personale della città, sfondo del suo amore idealizzato per Beatrice.

È invece maggiormente connessa alle cronache del suo tempo, nonché premonitrice del nostro passato recente, la premessa del Decameron di Giovanni Boccaccio. Articolata in cento novelle scritte tra il 1349 e il 1351, l’opera racconta la vicenda un gruppo di giovani che si rifugia nella campagna fiorentina per sfuggire alla peste nera che imperversa in città. A turno, ognuno dei protagonisti narra una storia che li aiuti a trascorrere le lunghe giornate di isolamento. Una lettura antica dai risvolti attuali, che ha combattuto per secoli con la censura ecclesiastica a causa della presunta immoralità dei suoi contenuti.

 

I libri che hanno ispirato il cinema

Tra i titoli italiani che sono stati traghettati con successo nelle sale cinematografiche figura Le ragazze di San Frediano, scritto da Vasco Pratolini nel 1949. Il britannico E. M. Forster è invece l’autore di Camera con vista (1908), mentre sono di penna americana i romanzi che hanno trovato il maggiore riscontro di pubblico. Anche grazie alla visibilità delle pellicole che da essi sono tratte, Hannibal di Thomas Harris (1999) e Inferno di Dan Brown (2013) sono stati infatti dei veri casi letterari. Per un approfondimento sulle trame di tutti questi libri vi rimandiamo all’articolo sulla Firenze del grande schermo.

 

Le saghe

Quattro romanzi che raccontano la storia della famiglia più importante di Firenze e dei molti intrighi che ne accompagnarono la parabola. Si tratta del ciclo I Medici, scritto da Matteo Strukul a partire dal 2017, che segue le gesta dei più influenti membri del casato. Si parte dall’ascesa di Cosimo il Vecchio con il primo romanzo della serie, Una dinastia al potere. Il capitolo successivo, Un uomo al potere, racconta le vicende di Lorenzo il Magnifico, mentre i due romanzi conclusivi, Una donna al potere e Fine di una dinastia, seguono Caterina e Maria nella loro scalata al trono di Francia come regine consorti.

Di tutt’altro genere è la nutrita saga di Marco Vichi dedicata al Commissario Bordelli. Inaugurata nel 2002 con il romanzo omonimo, mette in scena le indagini del suo protagonista nella cornice della Firenze degli anni Sessanta. Ad oggi sono ben quattordici i romanzi pubblicati, tutti legati alle avventure poliziesche di un personaggio che Andrea Camilleri ha definito “un antieroe disilluso ma assolutamente autentico nelle ragioni del suo esistere”.

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La giornata mondiale del latte

  1. Oggi si celebra una ricorrenza che rende merito ad una bevanda che ci accompagna fin dalla prima infanzia. Un alimento che si caratterizza per una grande ricchezza di nutrienti e per un ridotto contenuto calorico, e che viene impiegato per realizzare una quantità sterminata di prodotti gastronomici.

 

Una risorsa globale

Istituita nel 2001 dalla Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), questa giornata si propone di valorizzare il ruolo cruciale che il latte riveste all’interno della nostra dieta. La sua rilevanza a livello planetario è dimostrata da un semplice dato: oltre l’80% della popolazione mondiale consuma regolarmente il latte o un prodotto da esso derivato. Senza contare che le industrie collegate all’allevamento di animali da mungitura e all’elaborazione dei latticini costituiscono una fetta vitale nelle economie nazionali e nel sostentamento diretto di quasi un miliardo di individui.

 

Origine e tipologie

Il latte di mucca è la forma maggiormente consumata nel mondo, prodotta ovunque su larga scala nei paesi industrializzati. Piuttosto comuni sono anche il latte di pecora, di capra e di bufala. Sono invece meno diffuse, per quanto tipiche di molte regioni, varietà come il latte di asina, di cavalla, di cammello, di renna e di yak. Ognuna si contraddistingue per uno specifico profilo nutrizionale, con un diverso apporto di proteine, grassi, zuccheri, vitamine e minerali.

Altrettanto eterogenee sono le tipologie disponibili, frutto di processi lavorativi che ci permettono di apprezzare prodotti diversi per esigenze diverse. Si parte dal latte fresco, che offre una conservazione limitata in quanto non subisce trattamenti termici intensivi, per arrivare al latte pastorizzato e quello UHT, conservabili più a lungo poiché processati a temperature che eliminano i batteri patogeni senza comprometterne le proprietà. La tipologia influenza anche la composizione nutrizionale, con percentuali di grassi diverse nel prodotto intero, parzialmente scremato e scremato. O come nel caso del latte senza lattosio, che rende la bevanda consumabile anche a chi ne è intollerante.

Discorso a parte meritano invece le bevande vegetali, come quelle a base di soia, mandorla, riso, avena e cocco. Si tratta di prodotti che non contengono lattosio, proteine animali o colesterolo, e che di fatto costituiscono una categoria merceologica diversa. Questo si riflette anche sulla denominazione della bevanda stessa. Secondo la legislazione europea, il termine “latte” può essere attribuito nella lingua nazionale unicamente ai prodotti legittimamente riconosciuti: in Italia è il caso del “latte di mandorle” e del “latte di cocco”.

 

I derivati dal latte

Per quanto sia consumato universalmente nella sua originaria forma di bevanda, è sorprendente scoprire la quantità e la varietà degli alimenti che in tutto il mondo vengono prodotti a partire dal latte. Basti pensare alle centinaia di tipologie di formaggio esistenti, ognuna con le sue peculiarità di lavorazione, maturazione, composizione nutrizionale, sapore e consistenza. Come il formaggio, anche ricotta e yogurt sono impiegati sia come alimenti a sé che come ingredienti di numerose preparazioni. Burro e panna, invece, ricavati dalla parte grassa del latte, sono elementi fondamentali della gastronomia di tutto il mondo. Combinati con altri ingredienti danno vita a ricette dolci e salate, nonché a prodotti industriali e artigianali che sono talvolta parte integrante delle tradizioni locali. Tra questi non può mancare il gelato, come abbiamo visto nella prima e nella seconda parte di un excursus delle sue interpretazioni più esotiche in cui è possibile imbattersi a giro per il mondo.

Sono quasi infinite le possibili incarnazioni di questo alimento così fondante per lo sviluppo della nostra specie e per il benessere della vita quotidiana. Un prodotto antico come la civiltà, da sempre riconosciuto come un vero e proprio “oro bianco”.

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Girolamo Savonarola e la festa della Fiorita

Tra le molte ricorrenze che ogni anno animano la primavera fiorentina, la festa della Fiorita del 23 maggio trae origine da un episodio piuttosto cupo nella storia della città. La cerimonia prevede una messa a Palazzo Vecchio, una sfilata del Corte Storico e un lancio di fiori in Arno.

 

Una figura controversa

Sailko, CC BY 3.0 via Wikimedia Commons

La stagione primaverile di Firenze è costellata di eventi che richiamano la lieta tradizione delle maggiolate. La festa della Fiorita, chiamata anche Infiorata, si distingue da esse per un carattere più solenne, che richiama un atto di compassione seguito alla violenta morte di Girolamo Savonarola.

Il frate domenicano, ferrarese di nascita ma adottato a Firenze come lettore e priore del convento di San Marco, fu un vero protagonista nella vita religiosa e politica della città negli ultimi anni del XV secolo. Le sue predicazioni, volte spesso a denunciare la corruzione dei regnanti e del clero, lo elessero a figura carismatica e discussa, e gli valsero una grande quantità di ammiratori come di nemici. Le sue posizioni intransigenti, spesso causa di contestazioni e tumulti, infiammarono letteralmente la città. Durante un celebre “falò delle vanità”, il religioso appiccò il fuoco ad una grande quantità di opere d’arte, gioielli e vestiti, con l’intento di mostrare quali oggetti dovessero essere considerati peccaminosi.  Scomodo alle masse quanto ai potenti, Savonarola fu presto scomunicato e processato per eresia.

 

L’esecuzione e l’omaggio

G. Monasta, CC BY-NC-SA 4.0

Trascinato via da San Marco e rinchiuso nell'”alberghetto”, una cella nella torre di Arnolfo a Palazzo Vecchio, Savonarola fu interrogato, torturato e infine condannato a morte. Il 23 maggio 1498 fu condotto insieme a due confratelli ad un patibolo innalzato in piazza della Signoria. Fu impiccato ed arso davanti alla popolazione, per poi essere gettato in Arno dal Ponte Vecchio per evitare che le sue ceneri fossero sottratte e fatte oggetto di venerazione da parte dei seguaci.

Durante la notte il punto in cui avvenne il martirio fu cosparso di fiori, foglie di palma e petali di rose. Fu da quel gesto di pietà, omaggio alla memoria del predicatore, che nacque la tradizione della Fiorita, celebrata annualmente ancora ai giorni nostri.

 

La rievocazione

G. Monasta, CC BY-NC-SA 4.0

La giornata ha inizio con una messa nella Cappella dei Priori di Palazzo Vecchio. A questa segue la marcia del Corteo Storico della Repubblica Fiorentina, che da Piazza della Signoria raggiunge il Ponte Vecchio. Qui ha luogo il cuore della cerimonia, con un lancio di fiori in Arno a ricordo di quel primo omaggio di tanti anni fa.

In piazza della Signoria è facile ancora oggi rintracciare il punto dove avvenne l’esecuzione di Savonarola. Una lapide di granito rosso fu incastonata nel piano stradale in sostituzione di un tassello di marmo dove un tempo veniva collocato il Saracino nel gioco della giostra. Molti turisti attraversano la piazza senza notare il blocco di pietra, attratti dall’architettura di Palazzo Vecchio, dal David o dalla Galleria degli Uffizi che sorge a fianco. Ma la lapide è là, a testimonianza di uno degli avvenimenti che per la città di Firenze segnarono il passaggio dal medioevo all’età moderna.

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Il miele tra nutrizione e gusto

Il 20 maggio di ogni anno si festeggia la giornata mondiale delle api, una ricorrenza istituita dall’assemblea generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica sui delicati equilibri che regolano la vita degli impollinatori. È anche l’occasione per conoscere alcune curiosità che riguardano il prodotto apistico per eccellenza, ingrediente irrinunciabile della gastronomia di tutto il mondo: il miele.

 

Il valore della salvaguardia

In un articolo di alcuni mesi fa ripercorrevamo l’importante ruolo che gli impollinatori rivestono nel nostro ecosistema, e quali comportamenti possiamo intraprendere in termini di sostenibilità produttiva e preservazione della biodiversità. Un’iniziativa che l’Antica Gelateria Fiorentina abbraccia ormai da svariati anni è l’adozione di due diversi alveari al fine di proteggere e valorizzare l’apicoltura locale.

Lo sviluppo di una produzione che tuteli ogni elemento della catena biologica è infatti fondamentale anche nell’ottica degli ingredienti che arrivano sulle nostre tavole. Come il miele che insieme a yogurt e cannella rende unico il nostro gelato Ambrosia, un gusto che dalla sua nascita molti anni fa non abbiamo mai smesso di realizzare.

 

Dagli Egizi ai giorni nostri

Del resto per millenni il miele è stato l’unico alimento zuccherino disponibile, un ingrediente insostituibile dal punto di vista di un corretto apporto energetico. Nell’antico Egitto era impiegato in una varietà di applicazioni, non solo alimentari ma anche mediche e rituali. Veniva infatti utilizzato per curare i disturbi digestivi e per ottenere degli unguenti lenitivi, e addirittura conservato in grandi coppe deposte accanto alle mummie per accompagnare i defunti nel loro viaggio nell’aldilà.

L’elenco delle popolazioni che lo usavano regolarmente è lungo: tra i Babilonesi erano diffuse delle focaccine realizzate con miele, datteri e sesamo, mentre i Greci lo consideravano “cibo degli dèi”. I Romani ne ottenevano invece alimenti come birra, idromele e salse agrodolci, ma lo utilizzavano ampiamente anche come conservante.

Fu a partire dal Medioevo che il ruolo del miele si ridimensionò progressivamente, soprattutto dopo l’introduzione dello zucchero industriale come agente dolcificante. In tempi più recenti questo prodotto è stato però oggetto di un rinnovato interesse, grazie anche alle molte proprietà che gli vengono riconosciute.

 

Benessere e bontà

Sebbene sia da considerarsi un alimento estremamente calorico e debba quindi essere assunto con moderazione all’interno di una dieta energicamente bilanciata, il miele merita la posizione che ricopre nella nostra alimentazione grazie ad alcuni benefici che può fornire all’organismo. Sembra infatti che un consumo misurato possa giovare a muscoli, cuore, fegato e apparato digerente, con un effetto che varia anche in base alla tipologia. Ad esempio, calmante e sedativo per il miele di tiglio e di agrumi, o ricostituente e remineralizzante per quello di castagno.

Ma come viene impiegato oggi in ambito culinario? Al di là della sua semplice funzione dolcificante, trova un primo utilizzo nella realizzazione di salse, glasse e marinate. La sua versatilità lo rende un ingrediente chiave anche nelle ricette salate dal carattere agrodolce, valorizzando così una varietà di antipasti, primi e secondi. Qualche esempio? Un risotto con miele e salsa di soia, oppure un’insalata con radicchio, noci e formaggio di capra condita con una vinaigrette di miele e aceto balsamico. E per finire con il dessert, un classico della tradizione toscana: un panforte di Siena preparato con frutta secca, frutta candita, miele e spezie.

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L’alchermes, storia e curiosità di un liquore fiorentino

Da sempre vino e liquori rappresentano una delle categorie di maggior rilievo tra i prodotti gastronomici toscani più apprezzati ed esportati nel mondo. Tra questi figura una bevanda il cui nome suggerisce una provenienza esotica, ma che per nascita e diffusione è legata alla storia di Firenze.

 

Il buon bere in Toscana

Se il vino Chianti costituisce di per sé un’attrattiva sufficiente a rendere l’omonima area un vero paradiso dell’enologia, non è l’unico prodotto degno di nota nel panorama regionale. Lo accompagnano il Vin Santo come vino da dessert e il Galliano come digestivo, mentre nell’ambito della mixology l’eccellenza locale è rappresentata dal Negroni, che ormai da anni detiene il titolo di cocktail più consumato del pianeta.

In questo scenario, l’alchermes si ritaglia uno spazio più settoriale a causa della sua applicazione, legata soprattutto a varie preparazioni dolciarie come la zuppa inglese.

 

Al-qirmiz, alquermes, alchermes

Non è chiaro in quale momento attraverso l’arabo e lo spagnolo il termine abbia iniziato ad essere utilizzato anche in italiano. Il nome si riferisce in ogni caso alla cocciniglia, un insetto dal quale in passato si otteneva un colorante naturale per tessuti ed alimenti. La stessa etimologia riguarda anche la parola “cremisi”, non a caso impiegata spesso per descrivere il rosso intenso che contraddistingue il liquore.

Altrettanto nebulosa è l’origine della bevanda stessa, ma è presumibile che una prima versione dell’alchermes sia sopraggiunta in Italia dal Medio Oriente attraverso l’importazione spagnola. La prima produzione documentata del liquore che conosciamo oggi risale al medioevo, ad opera dell’ordine religioso fiorentino di Santa Maria dei Servi. Sembra che Lorenzo il Magnifico lo apprezzasse particolarmente, e che lo offrisse ai suoi ospiti durante riunioni e convivi con pittori, scultori e poeti. La sua preparazione sarebbe stata ufficialmente definita solo nel 1743 presso l’Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella, dove era considerato un elisir di lunga vita dalle molte proprietà benefiche. Nel frattempo, però, l’alchermes aveva raggiunto diffusione tale da essere conosciuto in Francia come “liquore dei Medici”.

 

Dessert e rimedi popolari

Lungoleno, CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons

Il sapore dolce e speziato dell’alchermes deriva da una miscela di fiori di anice, cannella, chiodi di garofano, cardamomo, acqua di rose, gelsomino, scorza d’arancia, vaniglia e zucchero. Le sue caratteristiche lo rendono indispensabile nelle preparazioni di pasticceria di varie regioni d’Italia. Oltre alla già citata zuppa inglese, viene utilizzato per la produzione delle pesche dolci, dello zuccotto, della rocciata, della ciaramicola perugina e della faldacchea turese.

Quanto a versatilità e fantasia di impiego, un tempo in Sicilia era uso comune somministrare un cucchiaio di alchermes per combattere i “vermi da spavento”, vale a dire per aiutare i bambini a superare un momento di paura o a tranquillizzarsi dopo un incubo. Un tratto di folclore che in fondo non deve sorprendere per un liquore circondato fin dalla nascita da un’aura di mito e subito diventato, tra scienza culinaria e leggende popolari, parte integrante della cultura italiana.

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Il Maggio Musicale Fiorentino e le feste di primavera

Da quasi un secolo la primavera a Firenze è accompagnata da una carrellata di eventi culturali che vedono la partecipazione dei grandi nomi della musica classica, della lirica, del balletto e della prosa. L’origine di questa rassegna è legata all’antico folclore cittadino delle “maggiolate”.

 

Il festival

A dispetto del nome, il Maggio Musicale Fiorentino si svolge solitamente tra la fine di aprile e l’inizio di luglio. L’ottantasettesima edizione, inaugurata poche settimane fa, vede in scena tra i molti artisti anche Roberto Bolle con il suo spettacolo “Caravaggio” e il direttore onorario Zubin Metha. Tra i grandi classici come la Salome di Richard Strauss e la sempre rappresentata Aida di Giuseppe Verdi, la manifestazione riserva il palco anche ai giovani talenti della musica, con le serate dedicate all’Orchestra dei Ragazzi, evento riservato alle scuole, e al Progetto Giovani Musicisti con gli allievi del conservatorio Luigi Cherubini.

Il festival si inscrive in realtà all’interno di una più ampia stagione annuale, che da gennaio a dicembre propone un calendario ricchissimo di appuntamenti. Molte iniziative sono anche orientate ad un maggior coinvolgimento del pubblico, con incontri speciali e giornate destinate a scuole e famiglie.

 

Esperienze per ogni età

Il Maggio Musicale Fiorentino ha la sua sede principale nel moderno complesso architettonico realizzato alcuni anni fa tra Porta al Prato e il parco delle Cascine. Un’ambiente eclettico, che ben riflette la natura multiforme dell’istituzione che ospita.

Oltre alla stagione principale dedicata ai concerti, all’opera e alla danza, il Teatro porta la propria musica al di fuori delle mura di Firenze, con due serate che nel corso di giugno si terranno ad Arezzo e Ravenna. Sono invece più numerose le rappresentazioni rivolte alle famiglie e agli studenti, con eventi pensati per gli spettatori più piccoli e incontri speciali con gli artisti. Infine, molti dei maggiori appuntamenti in agenda sono preceduti da una guida all’ascolto, che permette di approfondire in modo ragionato alcune delle tematiche chiave di quanto sta per andare in scena.

 

Le maggiolate fiorentine

G. Monasta, CC BY-NC-SA 4.0

Qual è dunque l’origine del nome del festival, nonché dell’idea stessa di una manifestazione primaverile dedicata alla musica? Alla base di tutto c’è la tradizione del calendimaggio, un’antica festa pagana, diffusa anche in altre regioni d’Italia, che onorava il gioioso arrivo della bella stagione con balli e rappresentazioni teatrali. Queste cerimonie erano conosciute anche con il nome di maggiolate, come le composizioni che si cantavano per l’occasione.

Ancora oggi la città del giglio celebra questa ciclica rinascita con iniziative come la festa della Fiorita e il Trofeo Marzocco di gioco della bandiera, insieme ad una quantità di eventi piccoli e grandi che in questo periodo fanno rivivere il vero spirito del calendimaggio.

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Fiorentini illustri: Bernardo Buontalenti

Nella storia della gastronomia il nome di Bernardo Buontalenti appare spesso come l’inventore del gelato moderno. Il talento di questo poliedrico pensatore si espresse tuttavia in numerosi campi, al punto da renderlo una delle figure più influenti nel panorama fiorentino della sua epoca.

 

Un vero uomo del Rinascimento

Sailko, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Quando si pensa ad un personaggio che con il suo ingegno ha rivoluzionato ambiti diversissimi tra loro e appartenenti sia alla sfera umanistica che a quella scientifica, Leonardo da Vinci è senz’alto il primo che viene in mente. Bernardo Buontalenti mostrò però un estro altrettanto eclettico, riportando notevoli risultati come scultore, pittore, ingegnere militare e scenografo.

Alla morte di Giorgio Vasari, avvenuta nel 1574, Buontalenti diventò architetto di corte durante il governo di Francesco I de’ Medici. In questa veste si occupò di tutte le committenze cittadine, progettando tra le altre opere anche la cosiddetta Grotta Grande del giardino di Boboli, una struttura che combina con straordinaria originalità elementi di architettura, scultura e pittura.

Dedito nello stesso periodo anche alle sperimentazioni di carattere culinario, su incarico del Granduca iniziò a lavorare ad una nuova ricetta, quella di un dessert che potesse strabiliare gli ospiti di palazzo durante le visite ufficiali.

 

Un’invenzione fiorentina

In realtà sono due i nomi riportati dalle cronache in merito all’introduzione della moderna ricetta del gelato. Prima ancora di Buontalenti, sembra infatti che l’idea di un “dolcetto gelato” fosse venuta ad un altro fiorentino, tale Ruggeri, di professione pollivendolo. Secondo quanto raccontato, l’improvvisato cuoco partecipò ad un concorso culinario con una sorta di sorbetto ante litteram, del ghiaccio aromatizzato e zuccherato. La sua proposta conquistò il favore di Caterina de’ Medici, che decise di assumerlo come cuoco personale e di diffondere la sua creazione presso le corti di Francia.

Fu forse a partire da questa prima versione che qualche anno più tardi Buontalenti realizzò la ricetta che lo rese celebre. In occasione della visita ufficiale di una delegazione spagnola, progettò un composto che prevedeva l’utilizzo di ghiaccio, sale, limone, vino, latte, zucchero, tuorlo d’uovo e miele. Nelle parole del Granduca, tale proposta avrebbe dovuto essere abbastanza sorprendente da “far rimanere come tanti babbei gli stranieri”. Era nata la crema fiorentina per antonomasia.

 

Il gelato Buontalenti oggi

Jam Down Foodie, CC BY-NC 4.0

Quello che ai giorni nostri conosciamo come “gusto Buontalenti” è la moderna interpretazione di quella prima ricetta. La rivisitazione fu inizialmente realizzata dalla storica pasticceria Badiani nel contesto di un concorso indetto alla fine degli anni 60 del Novecento, ma nel corso degli anni il successo di questo gelato ha aperto la strada a molti adattamenti.

Oggi moltissime gelaterie propongono questo gusto, rendendo merito ad un’intuizione che ha continuato a confermarsi valida nel corso dei secoli. Anche all’Antica Gelateria Fiorentina omaggiamo la ricetta originale lavorando con attenzione latte, panna, uovo e zucchero. Ne otteniamo così una versione delicata e non troppo dolce, pensata per esprimere al meglio la sensibilità attuale e ricordare la nascita del nostro dolce preferito.

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