Fiorentini illustri: Dante Alighieri

La storia della lingua italiana è contrassegnata dalle figure di svariati scrittori che hanno contribuito al suo sviluppo. Nessuno tuttavia ha influito in modo tanto decisivo come Dante nella nascita di un comune codice d’espressione che fosse in grado di valicare i confini imposti dai molti dialetti regionali ed elevarsi al rango di lingua nazionale.

 

Dal latino all’italiano

JoJan, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Come raccontato in un articolo di alcuni mesi fa, fu la progressiva evoluzione del volgare fiorentino a consentire la nascita dell’italiano. Dante identificò proprio in questa “lingua del popolo” un veicolo linguistico utilizzabile in ambito letterario, ruolo che fino ad allora era stato riservato al latino. Il suo intento era quello di abbattere la barriera tra il ceto colto e quello popolare, permettendo a quest’ultimo di accedere a contenuti da sempre relegati alla sfera accademica. Nel De Vulgari Eloquentia Dante compara le due lingue, evidenziando come il volgare dovesse essere considerata la più nobile in quanto maggiormente naturale del latino.

 

Beatrice e Gemma

Esistono diverse prove documentali che permettono di identificare in Beatrice Portinari, detta Bice, la donna che Dante considerava la sua musa.  e la cui morte provocò in lui una profonda crisi. Figlia del banchiere Folco Portinari (fondatore dell’ospedale di Santa Maria Nuova, che è tuttora il principale ospedale del centro di Firenze) Beatrice è la prima donna a figurare come personaggio di rilievo nella nascente letteratura italiana. Dante le dedicò la raccolta di componimenti poetici Vita Nova, nel quale la definisce “gentile e tanto onesta”. La ritrae però anche nella Divina Commedia come creatura angelica del Paradiso, rappresentazione delle virtù di Fede e Sapienza.

Nonostante i ripetuti incontri con la vera Beatrice, che Dante conobbe a più riprese tra l’infanzia e l’età adulta, lui stesso rivelò che il loro fu un amore mai realmente vissuto. Del resto, il suo matrimonio con Gemma Donati era stato combinato tramite un contratto tra i rispettivi genitori quando i due avevano solo dodici anni. Si sposarono otto anni più tardi, ed è considerazione comune che la loro non fu unione felice. Il poeta non dedicò mai un singolo verso alla moglie, destinando alla sola Beatrice il suo struggimento letterario.

«Sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.»
(L’apparizione di Beatrice nella Divina Commedia)

 

Lontano da Firenze

Sailko, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Il legame di Dante con la sua città natale fu compromesso a causa dei dissensi politici di cui fu protagonista. Componente attivo del partito dei guelfi bianchi, osteggiò con forza papa Bonifacio VIII, che egli vedeva come emblema del decadimento morale della Chiesa. La sua posizione lo rese bersaglio della fazione dei guelfi neri, il cui obiettivo era perseguitare gli esponenti di parte bianca ostili al papato. L’arrivo a Firenze di Carlo di Valois, inviato dal papa come paciere ma di fatto vero e proprio conquistatore, comportò una condanna all’esilio che lo colpì insieme a molti rappresentanti del suo partito.

«Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia.»
(Libro del chiodo – Archivio di Stato di Firenze – 10 marzo 1302)

Dante tentò più volte di rientrare a Firenze, sempre senza successo. Trascorse l’esilio in svariate città durante i suoi ultimi vent’anni di vita, e morì a Ravenna senza aver rivisto la sua patria.

Firenze rende oggi merito ad uno dei suoi figli più influenti seguendone le tracce nei luoghi in cui visse. In via Santa Margherita si trova il museo della casa in cui presumibilmente abitò, mentre a pochi passi di distanza sorge la chiesa di Santa Margherita de’ Cerchi, che vide forse il suo primo incontro con Beatrice. Spingendosi ancora qualche metro verso piazza del Duomo, il visitatore più curioso può rintracciare in piazza delle Pallottole il cosiddetto “sasso di Dante”. Si tratta di una grossa pietra, abbandonata un po’ a sé stessa, sulla quale secondo la leggenda l’artista era solito fermarsi a guardare i lavori alla vicina cattedrale di Santa Maria del Fiore, che all’epoca era in costruzione. Si tratta forse di una storia apocrifa, ma fornisce l’occasione per osservare la città di Firenze dalla prospettiva unica del sommo poeta.

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