
Il Chianti, eccellenza enologica toscana
Così come la Toscana è sotto molti aspetti la più caratteristica delle regioni d’Italia, il vino prodotto in quest’area è forse quello che meglio rappresenta il nostro Paese. Andiamo alla scoperta del marchio che per tradizione e qualità riveste un ruolo di prima grandezza nell’universo del nettare di Bacco.
Le denominazioni e le zone di produzione
Il nome Chianti deriva dall’omonima area universalmente associata alla sua tradizione vinicola, ed è spesso utilizzato per identificare quanto prodotto in gran parte della Toscana. È importante tuttavia sottolineare che le due denominazioni DOCG presenti sul mercato (Chianti e Chianti Classico) si distinguono per caratteristiche uniche legate ai territori di provenienza e ai disciplinari che ne regolamentano l’attività.
La zona interessata dalla denominazione del Chianti DOCG si estende su una vasta porzione della Toscana centrale e comprende le province di Firenze, Siena, Arezzo, Pisa, Pistoia e Prato. Il Chianti Classico nasce invece in una specifica e più piccola area chiusa tra le province di Firenze e Siena. Sebbene la percentuale delle uve impiegate nelle varie produzioni cambi da vino a vino, tutti i Chianti sono costituiti dagli stessi vitigni: Sangiovese, Canaiolo, Trebbiano, Malvasia bianca, Sauvignon e Merlot. Tra questi, il protagonista indiscusso è sempre il Sangiovese, utilizzato in purezza o in quote che raggiungono comunque un minimo del 75%.
Dagli etruschi al Rinascimento
Il dibattito sulla nascita della tradizione vinicola del Chianti è da sempre contraddistinto dalla difficoltà nel rintracciare un’origine facilmente definibile. Una delle prime testimonianze è comunque costituita da un vaso di epoca etrusca, rinvenuto in una necropoli vicino a Castellina in Chianti, su cui è raffigurato un tipico banchetto.
Il grande sviluppo della viticoltura toscana si ebbe però a partire dal XVI secolo, grazie alla considerazione che la famiglia Medici riservava al vino negli usi e costumi di corte. Lo stesso Lorenzo il Magnifico è spesso ricordato per il componimento poetico noto come Canzone di Bacco, celebre elogio dei piaceri terreni. Fu però solo nel 1716 che il granduca Cosimo III registrò i primi confini ufficiali dell’area che oggi fa parte dell’attuale indicazione del Chianti Classico. Il provvedimento specificava le zone entro le quali potevano essere prodotti i vini citati, e come tale rappresentava un vero e proprio precursore della denominazione odierna.
Cultura popolare e abbinamenti inconsueti
La scienza degli accostamenti combina il Chianti con una grande varietà di pietanze, ma ad essere particolarmente valorizzate sono le carne arrosto e alla griglia. I vini di medio corpo accompagnano in genere i saporiti piatti della tradizione, mentre le grandi riserve sono destinate alla selvaggina o ai formaggi stagionati. Se nell’ambito dell’accoglienza ristorativa è relativamente raro trovare abbinamenti davvero eccentrici, il grande schermo ha talvolta dato prova di grande inventiva nel citare questo vino nei contesti più inaspettati.
Il primato dell’accostamento più ardito spetta senz’altro al film Il silenzio degli innocenti. In una sequenza intrisa di gelida ironia, il cannibale Hannibal Lecter si rivolge con queste parole all’agente dell’FBI che indaga su di lui: “Uno che faceva un censimento una volta cercò di interrogarmi. Mi mangiai il suo fegato, con un bel piatto di fave ed un buon Chianti”.
Meno inquietante è la citazione presente in A 007, dalla Russia con amore. Minacciato da una spia sovietica sotto copertura, James Bond riesce a smascherare il suo nemico grazie alla scelta di quest’ultimo di accompagnare un piatto di pesce proprio con un Chianti rosso. Un errore in cui un vero gentleman non sarebbe mai incappato, e un passaggio indicativo di quanto un corretto abbinamento sia importante al cinema come nel mondo reale.